Lo ha deciso, al termine dell’udienza di convalida svoltasi sabato, il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Latina Giuseppe Cario, il quale, accogliendo le eccezioni di competenza territoriale da parte del collegio difensivo, ha contestualmente rimesso tutti gli atti alla Procura della Repubblica del capoluogo campano. Secondo quanto si è appreso, i sei arrestati, tranne uno che si è avvalso della facoltà di non rispondere, hanno respinto le accuse, ammettendo solo di conoscersi in quanto residenti nella stessa zona. Per alcuni di loro gli avvocati hanno chiesto addirittura la scarcerazione ritenendo che non ci fossero gravi indizi a loro carico. In attesa del probabile ricorso al Tribunale del Riesame, i sei per ora restano però rinchiusi nella casa circondariale di Latina. Come già ampiamente riferito nei giorni scorsi, sono considerati appartenenti ad un’associazione a delinquere transnazionale dedita al compimento di furti e rapine, alla ricettazione, al riciclaggio e, in alcuni casi, anche allo sfruttamento della prostituzione e alla riduzione in schiavitù di ragazze dell’Europa orientale, tra cui anche alcune minorenni. Gli inquirenti puntano ora a ricostruire le rotte per la ricettazione della refurtiva, tra cui anche costose auto che venivano riciclate in particolare in Grecia e Albania. Proprio Napoli sarebbe stato il “terminale” dei malviventi per lo smistamento degli oggetti che nel corso degli ultimi due anni sono stati trafugati in decine di ville ed appartamenti di Fondi, Terracina, Lenola, Itri e Monte San Biagio. Ulteriore accertamenti sono poi in corso relativamente al filone della prostituzione visto che almeno due degli arrestati sono accusati di aver costretto alla prostituzione ragazze dell’est Europa fatte giungere in Italia con la falsa promessa di un lavoro onesto. Alle giovani venivano sequestrati i documenti ed erano poi costrette ad avere rapporti sessuali a pagamento in strada o in case a luci rosse. Chi si ribellava, veniva picchiata e, in alcuni casi, venduta ad altri criminali. L'attività principale della banda, come detto, riguardava però i furti in villa. Gli albanesi arrestati erano, in qualche maniera, insospettabili, perché regolari in Italia e con una vita a prima vista tranquilla, considerato che di giorno lavoravano come elettricisti, facchini o manovali. La stessa rumena finita in manette era ufficialmente una benvoluta badante e collaboratrice domestica. Vivevano tutti nel centro storico di Fondi e mantenevano un profilo, per così dire, basso; con uno stile di vita apparentemente normale. Di notte, invece, facevano razzie nelle abitazioni, soprattutto del litorale di Fondi ma anche nella campagne dei centri circostanti. Vestiti di nero e a piedi scalzi, entravano nelle case quasi sempre dopo aver praticato un foro in una finestra e, dopo aver narcotizzato solitamente i proprietari, arraffavano quanto possibile. Dai soldi ai gioielli, dagli elettrodomestici ai computer. Ma soprattutto automobili di grossa cilindrata da ricettare poi all'estero. Un giro di affari illeciti di almeno un milione di euro sul quale si cercherà ora di fare ulteriormente luce.